Sabato uno aprile, presso la Sala delle Adunanze del Palazzo di Giustizia, ricorderemo Turi Caruso e affronteremo una indagine sulla “terribilita’ “ della giustizia nel pensiero e nelle opere di Leonardo Sciascia. Il sommo poeta fece dettare alla sua penna il monito del “seguir virtute e canoscenza…”; il XXVI° Canto dell’Inferno con il dramma punitivo di Ulisse. Il canto del dolore a fronte della condanna per avere sfidato i limiti imposti dagli Dei. Eppure, qualcuno fu capace di
incarnare il detto. Sicche’ siamo qui a far memoria di Turi Caruso, seduto all’ingresso dell’atrio del nostro Tribunale. Un posto strategico e significativo: da’ il benvenuto a chi entra, pervaso da ardore, speranze e tribolazioni; e poi saluta chi si allontana, con il cuore gonfio di tumultuosi pensieri, dubbi, delusioni, talvolta solo attenuati da effimeri conforti.
Ciao, Turi, ancora con i Tuoi amici, i colleghi, l’intero Foro. Ci hai insegnato mille cose; il dire e il sapere era in Te un tutt’uno. Senza ostentazioni, fumosita’, arroganza. Nessuno spazio alla saccenteria ma il tremendo amore per il diritto. Finissimo processualista, dotato della piu’ autentica visione antropocentrica del processo. Tutte le Tue battaglie furono affrontate e sofferte con il fioretto, anche dinanzi agli epiloghi piu’ amari.
“Vincerai, o flotta nemica…il cuore me lo dice…” chiosava Emilio Salgari collocando questa battuta malinconica
sulle labbra del suo indomito eroe mentre, con tutto l’impegno possibile e senza arrendersi mai, preparava
l’ultima disperata difesa della sua vita.
Perche’ la Tua capacita’, caro Turi, comportava sempre maggior fiducia in Te da parte di molti; e dunque un
crescendo di responsabilita’ e di cause impossibili, controverse, ricche di spunti ma anche dense di
tormento. E in Te aveva visto giusto il Tuo grande Maestro, l’irraggiungibile Enzo Trantino, che Ti formo’
sapendo d’avere a che fare con argilla di alta qualita’.
Il diritto era per Te la vera materia con cui la mano cura cio’ che verra’; un autentico prologo la cui premessa
risiede nell’ imponente interpretazione distintiva tra il significato e il significante (che nel processo penale è
tutto). Siamo ben consapevoli che hai legato la Tua vita all’analisi della norma, al primato della legge, al rispetto
per chi affidava a Te i valori piu’ puri e determinanti della sua stessa esistenza. E non sei mai diventato grande sol
perche’ sei nato grande.
I valori classici della Tua cultura hanno segnato le strade difficili del Tuo impegno; con sacrifici immensi e con un
talento da scoprire di volta in volta.
Ti ricordiamo, avendo voluto che Ti fosse compagno per qualche istante, un altro grande che del binomio Uomo-
Giustizia fece la ragione intera del suo scrivere, Leonardo Sciascia. Nostro conterraneo, rivisitato da Turi Scuto e
Lorenzo Zilletti, capace di intuizioni straordinarie e del tutto consapevole che l’Uomo è il vero centro della
Giustizia oltre che il suo motore (una dea chimerica ma non impossibile).
E’ un universo terreno in cui uomini giudicano altri uomini e che combattono affinche’ la legge, il diritto, la garanzia di tutti e per tutti, trasudi finalmente e dalla coscienza giunga alla verita’.
Ti vogliamo rammentare ancora, in quel giorno freddo e piovoso, quando stavamo malinconicamente rinchiusi
dinanzi alla Corte di Cassazione che giudicava circa un drammatico caso per omicidio. Noi avvocati eravamo li’, tutti tesi, silenziosi, mentre il Procuratore Generale sciabolava i nostri ricorsi e la sua voce sembrava che li rimpicciolisse sempre di piu’. Avevamo le spalle incassate e quella toga ci sembro’, in quei minuti, piu’ pesante del solito. Ma nessuno dimentichera’ come spezzasti l’angoscia pervasiva che ci attanagliava, dinanzi alla prospettiva del carcere a vita per tutti i nostri assistiti. Ti alzasti per primo, consapevole della dolorosa difficolta’ del momento e ci incoraggiasti come nessuno avrebbe saputo fare.
Diventasti un gigante dinanzi alla sfida della parola e rivolgendoci il Tuo solito sguardo amico, non senza un
briciolo di ironia, dicesti sottovoce: “ Hic sunt leones…”. Fu un brivido indimenticabile. Fino a quel momento
eravamo rannicchiati come gattini frastornati; e diventammo con Te, nostro trascinatore, i signori di
quella giungla. Ci appellammo al coraggio, alla dignita’ dei valori della nostra difesa e ai migliori argomenti
praticabili. Riscoprimmo progressivamente il significato del nostro autentico dire. Vincemmo: non il giudizio,
perche’ purtroppo esso era segnato da irrefutabili prove e da una legittima decisione; ma vincemmo perche’ ci
trasformasti in voci libere, senza timori né malinconie. Diventammo forti nel nostro ruolo e fu un momento di
crescita nel valore e per quel valore che è il diritto di difesa a cui crediamo sopra ogni cosa. Ciao, amico affettuoso e grande; grande in tutto, dalla parola cordiale e semplice alla perorazione di giustizia. E noi con Te, oggi, ripensando a quando stavamo assieme tra gli affanni delle aule, siamo coscienti che in quel tempo eravamo felici e forse neppure lo sapevamo.
A Turi Caruso, i penalisti Etnei, con il cuore, la memoria, la coscienza.
A cura del Direttivo della Camera Penale di Catania
“Serafino Fama’ “